Contestualizzare un ingrediente: il "cusco"
Cous-cous dove non te lo aspetti: nel nord del Portogallo
Questo post é stato creato nell’ambito del Master in Comunicazione Gastronomica che sto seguendo, e sono felice di potervi far leggere alcune delle mie ricerche.
Questa versione è la revisione del primo post che ho scritto come compito (in spagnolo), con aggiunta di altre informazioni che sono riuscita a trovare nel frattempo.
Ho scritto di cusco (in inglese) anche sul blog RelishPortugal, che é una miniera d’oro di consigli per chi volesse scoprire il Portogallo. Edito quattro volte l’anno, su abbonamento.
Una storia meravigliosa e che è davvero degna di essere raccontata! Ed è la prima volta che viene raccontata in italiano.
Il cusco, nonostante la foto di copertina, non é couscous alla marocchina. O meglio, non più, almeno dal 1700 e della persecuzioni dell’Inquisizione che hanno fatto sparire questo alimento dalla tavola quotidiana portoghese dove era fermamente ancorato, sia a palazzo che nella dieta dei poveri, sin dalla fine di Al-Andalus.
Di come il Cous-Cous in Portogallo diventa Cusco
In autunno, mentre i bagnanti si crogiolano al caldo sole dell'Algarve nel sud del Portogallo, a nord è tempo di arrostire le caldarroste, organizzare cacce ai funghi e assaporare il comfort food.
È nei mesi autunnali tra ottobre e dicembre che a Vinhais in Trás-Os-Montes, vicino a Bragança, una manciata di gente del posto si riunisce e prepara una versione locale del cuscus, una tradizione con centinaia di anni di storia. S
i chiama cusco e la sua storia viene dai tempi di Al-Andalus. È molto particolare il “cusco”, il nome di questo tipo di cous-cous.
È fatto con il grano locale “Barbela”, che normalmente viene utilizzato per la cottura del pane (lo trovate nei pani croccanti in vendita da Gleba), al posto del grano duro come nella tradizione nordafricana. Si discosta anche dal couscous israeliano-palestinese, che é di dimensioni maggiori.
È un prodotto artigianale, e le dimensioni dei chicchi sono comprese in genere tra 2mm e 5mm, dipendendo molto dal lavoro e dalla manualità di ogni singolo produttore.
Molto si conosce della sua produzione e del suo utilizzo oggi, in accompagnamento di stufati salati e pietanze a base di funghi, frutti di mare o piccioni, oppure come dessert dolce e cremoso, cucinato con latte, zucchero e cannella e simile al famoso dolce portoghese di riso dolce (arroz doce).
Il Portogallo fortunatamente ha iniziato un percorso atto a riconoscere questa ed altre pietanze come patrimonio culturale immateriale.
Tuttavia, si sa ancora poco delle sue origini, perse da tempo all'indomani delle persecuzioni religiose che i regnanti cattolici inflissero a una popolazione che fino a quel momento era una pacifica convivenza di cristiani, musulmani ed ebrei nel mitico Al-Andalus.
Per questo, cal cusco di oggi dobbiamo andare indietro nel tempo, fino al cuscus antico.
Raccontare oggi la storia di questo piatto è raccontare di come la gastronomia é resistente e resiliente, memoria perenne di un passato bello e sereno in cui le diversitá erano una ricchezza, non una fonte di divisione.
Vi interessa? Vi consiglio di appoggiare questa pubblicazione!
Il cuscous in Al-Andalus
Uno dei primi riferimenti scritti sul cuscus si trova nel libro di cucina compilato da uno scriba musulmano nel XIII secolo, Kitab al tabikh fi al-Maghrib wa’l-Andalus.
Il libro, magnifico, descrive in dettaglio l'arte di della culinaria del tempo, fornisce precetti per la preparazione e indicazioni sull'ordine delle pietanze, con quasi cinquecento ricette provenienti da tutto il Mediterraneo, e con molte menzioni al couscous.
Ancor piú indietro nel tempo, nella zona della attuale Algeria, sembra che gli antichi Numidi preparassero una pietanza affine.
Ma è solo con l’arrivo delle popolazioni arabe e soprattutto quelle marocchine e berbere che il couscous arriva in Al-Andalus e si espande per Spagna e Portogallo come pietanza di tutti i giorni.
A Lisbona per esempio arriva nelle case comuni, ma anche a palazzo reale.
Dopo Al-Andalus
Si dice che alcune famiglie ebree e probabilmente anche alcune di antica origine musulmana si rifugiarono a Tras-Os-Montes dopo essere state espulse dai loro luoghi di origine a causa delle persecuzioni religiose messe in atto dall'Inquisizione.
Tuttavia, fino alla fine del XVI secolo, le cronache raccontano che a Lisbona si poteva ancora trovare almeno una manifattura di ceramisti capaci di fare i recipienti di terracotta specifici usati per produrre e poi cucinare il couscous, e vi sono vari racconti che testimoniano la presenza di artigiani specializzati che producevano il cuscus, specialmente donne: qui si menziona l'esistenza di “ventitré cuscuzeiras, cioè donne che vendono cuscus e ventisette donne che fanno il riso”.
Si dice che a “quel tempo, era consuetudine mangiare il cous cous. Il cous cous è fatto con semola di grano macinata e cotto a vapore. João Brandão, nel 1552, ci racconta l'esistenza, a Lisbona, di cinquanta donne, tra bianche e nere, libere e prigioniere, che all'alba escono alla Ribeira con grandi pentole piene di riso, cous cous e ceci, chiamando a gran voce ” e che “nel novembre 1524, alla tavola di re João III, vennero serviti 5 arrateis di couscous per accompagnare la carne di manzo, (…) carne che arrivava alla tavola del Re, cucinata, in pastel o pronta per il cous cous, tutti modi di cucinarla comuni in questo periodo del 1500.”
Alla tavola dei re del Portogallo infatti, ben anche dopo la Riconquista, pare che ci fosse il couscous, “consumato con due piatti popolari alla corte di Lisbona nel 1565: la gallina mourisca, uno stufato di pollo a base di cipolle, prezzemolo e coriandolo, e la gallina alabardada, con cannella e zucchero.”
Secondo le fonti, infatti, fino al Seicento la dieta di gran parte della popolazione includeva regolarmente couscous con o senza carne e alfitete (al-fitat), una pasta dolce fatta di farina, uova, burro, zucchero, cannella, comino e vino, sulla quale poi venivano adagiati i piatti di carne, come ad esempio il capretto arrosto o la gallina moresca di cui sopra.
Delle preparazioni di pollame alla maniera di Al-Andalus, in particolare, parla il più antico libro di gastronomia portoghese, che curiosamente é conservato presso la Biblioteca Vittorio Emanuele II a Napoli: il famoso libro di cucina della Infanta Dona María, andata sposa a Bruxelles nel 1545 ad un Farnese.
Wikipedia ci dice che “Maria era la figlia del Principe Eduardo d'Aviz, quarto duca di Guimarães, infante di Portogallo e figlio di Manuele I del Portogallo, e di Isabella di Braganza. Nell'ambito della politica europea perseguita da Filippo II di Spagna e da Ottavio Farnese, duca di Parma, sposò a Bruxlles Alessandro Farnese, il figlio del duca”.
Quello che non dice é che questa discendente di Isabella e Ferdinando di Castiglia, i famosi Re Cattolici della conquista iberica ai regni Al-Andalus, si portó nascoste nel cuore le memorie gastronomiche di questa tradizione di mescolanze.
Proprio le ricette della galinha albardada e della galinha morisca, tra altre ricette magnifiche come il biancomangiare, sono cristallizzate per sempre nel libro dell’Infanta.
Anche nel corredo nuziale e domestico della regina Caterina d'Asburgo, nata nel 1507 a Torquemada dall’infelice Giovanna La Pazza (discendente anche lei di Ferdinando ed Isabella) ed il crudele Filippo il Bello, e morta a Lisbona nel 1578, ad esempio, vi sono vari utensili da cucina sono identificati da parole arabe e riflettono la forte influenza della cucina di Al-Andalus: “un'almoia, recipienti più piccoli chiamati alguidarinhos, un alcoholero per fare gli alcolici e quattro cuscussiere eseguite in stile rinascimentale”. Ben quattro utensili per il cuscus: sembra quasi una pietanza comune e in uso frequente.
È evidente dunque che anche dopo la conquista dei territori portoghesi di Al-Andalus da parte dei re cristiani, ci fu un periodo di coesistenza tra le varie tradizioni culturali, religiose e gastronomiche.
Con l’istituzione dei tribunali della terribile Inquisizione, però, la situazione cambió.
Nei racconti dei processi a sospetti criptomusulmani e criptogiudei emerge spesso che erano proprio le loro abitudini ritualistiche ed alimentari a porre in dubbio la loro cristianizzazione (forzata), e che proprio per questo erano condotti davanti all’Inquisizione.
Sappiamo dai processi inquisitoriali che “I Mori avevano formato una famosa confraternita nella Chiesa di S. João da Praça” in Alfama, a pochi passi dalla Cattedrale di Lisbona, “dove si incontravano e facevano doni, approfittando della festa del santo patrono S. João, il 24 giugno. (…) sotto le spoglie del culto cristiano, i Mori invocavano santi musulmani come Cid Belabes Citim (Sebti), patrono di Marrakech, tra gli altri, approfittandone per cantare e ballare.”
In piú, sembra che le donne dessero vita ad un priprio rituale, organizzando una vera e propria festa per il vicinato.
Un’inquisita, di nome Antónia Rodrigues, viene accusata e nell’autodafé racconta che "prepara un piccolo couscous ogni anno da regalare alle donne moresche che non sono state battezzate per amore di "Mafamede". In una di quelle occasioni, riporta ancora l’inquisita, “dopo aver mangiato il couscous, un'altra donna moresca ha pregato in arabo e “tutti hanno risposto amen e si sono strofinate il viso con i palmi delle mani”.
Si racconta anche che una forma di resistenza alla cristianizzazione forzata si ebbe proprio “attraverso la cucina stessa: era normale per le donne moresche perseverare nella preparazione di cibi tradizionali come il couscous, gli alfitetes (al-fetat) e zuppe tipiche e piatti a base di pecora”.
Preparare il cibo alla maniera di Al-Andalus poi richiedeva l’uso di una serie di materiali che aiutassero a differenziare e specifici, che come abbiamo visto fino a quel tempo, erano stati appannaggio di un po’ tutte le cucine, anche di quelle principesche come quelle di Caterina e Maria.
Ma i tempi stanno cambiando e si nota perché gli Inquisitori ci tengono a riportare negli atti dei processi che una tale Isabel Fernandes “avrebbe preparato per una particolare festa moresca, ciotole di alfitetes (al-fetat) secondo l'usanza moresca e mezzo agnello bollito. Di solito si mangiava a mano, senza bisogno del cucchiaio, e per terra, su delle coperte.”
Dai racconti emerge comunque una realtà in cui ancora nel Seicento gli usi antichi di consumo di carne, cotture e preparazioni ebraiche e musulmane si mantenevano, a volte più per abitudine e costume che per fede.
È in questa epoca che nei ricettari come il famoso “Arte da Cozinha” di Adolfo Domingues comincia a comparire il riso in sostituzione al couscous e alla itryia, che rimane invece solo nelle preparazioni dolci dell’aletria, nel nord del Portogallo.
Con il tempo, però, anche e soprattutto a causa di queste proibizioni e pressioni dissennate degli inquisitori cattolici, le tradizioni sono svanite dalle abitudini familiari e l'ultimo baluardo di questo passato storico si trova celato in pochi, supertiti piatti, tra cui il couscous “cusco”, un vero piatto storico che si trova oggi quasi nascosto tra le montagne.
Il cusco oggi
Tra i portoghesi di oggi non sembra esserci molto interesse per questo passato magnifico della loro tradizione culinaria.
Al-Andalus é stato cancellato nelle memorie, nella geografia, e purtroppo anche nei cuori.
Ma non per me.
Personalmente, trovo che i mille anni di Al-Andalus siano la fase storica piú interessante di tutte, insieme a quella romana. Ma se ai portoghesi piace tantissimo andare a scavare reperti romani, e sono molto orgoglioso delle navigazioni oceaniche, purtroppo pochi sono i luoghi in cui la storia al-andalusa millenaria di questo Paese é studiata e soprattutto comunicata.
Spero di avere sempre tempo per studiare e portare alla luce la storia gastronomica di questo periodo: ogni piatto che scopro con queste lunghissime radici mediterranee mi emoziona.
Come il cusco. Ma dove trovarlo ai nostri giorni?
L’ultimo baluardo del couscus: Vinhais e Bragança
Portato dagli esuli che fuggivano dalle persecuzioni inquisitoriali, molto probabilmente é venuto nel bagaglio culturale e gastronomico di quelle famiglie cripto-ebree che invece di andare ad Amsterdam, si sono rifugate a nord.
A Bragança, la famiglia culinaria di Geadas è custode di molte specialità locali, tra cui il cusco.
Puoi pianificare una vacanza in queste terre fredde e trascorrere un weekend affascinante con escursioni all'aria aperta nella zona.
I due membri più giovani e in età da lavoro della famiglia di cuochi Geadas, sono lo chef Oscar Geadas e il sommelier António Geadas, che si prendono cura del locale G Pousada, il ristorante stellato Michelin dell'hotel Pestana arroccato su una collina che domina il castello della città.
Qui si possono degustare prelibatezze locali come la segale con barbabietola e sugo di funghi o il piccione con rapa e funghi di stagione.
Se invece volete assaggiare il cusco, dovete andare al loro ristorante informale in centro, Contradicão, dove potete ordinare capesante con cusco e capesante.
Oppure potete provare l'imperdibile ristorante Geadas dove la madre di Oscar e Antonio cucina un delizioso cusco tradizionale con piccione o funghi.
Imperdibile.
Nella vicina città di Vinhais, il cusco può essere acquistato per casa nell’associazione apposita, ma è disponibile anche nel loro negozio online.
Il cusco portoghese che ho provato io della foto qui sopra viene dal meraviglioso ristorante di cucina tipica locale O Geadas di Bragança.
Cusco e funghi locali. Una combinazione che vale il viaggio!
Bibliografia da cui sono stati tratti gli estratti, e risorse da leggere (in Portoghese):
Isabel Fernandes: De barro se faz memória, in Raquel Henriques da Silva, Isabel Maria Fernandes, Rodrigo Banha da Silva, Olaria Portuguesa: do fazer ao usar. Lisboa: Assírio & Alvim, 17-33.
Isabel Fernandes: Alimentos e Alimentação no Portugal Quinhentista. Revista de Guimarães, nº 112, pp. 125-215.
Maria Filomena Lopes de Barros e José Alberto Rodrigues da Silva Tavim: "Cristãos(ãs)-Novos(as), Mouriscos(as), Judeus e Mouros. Diálogos em trânsito no Portugal Moderno (séculos XVI-XVII)". Journal of Sefardic Studies, 1 (2013), pp. 1-45.
Maria José Azevedo Santos: Jantar e cear na Corte de D. João III: leitura, transcrição e estudo de dois livros da cozinha do Rei (1524 e 1532). Vila do Conde: Câmara Municipal de Vila do Conde/Coimbra: Centro de História da Sociedade e da Cultura, 2002, pp. 31-32
Miguel Crespo À Mesa do Príncipe. Jantar e Cear na Corte de Lisboa (1500-1700)