A Lisbona c'è chiaramente un “prima” ed un “dopo” pandemia.
E c’è un cammino tracciato tra Lisbona e Porto e le altre regioni da parte di un gruppo di cuochi che, incontratosi nelle cucine delle nuove “tascas” di Lisbona, ha iniziato ad espandersi.
C’è un gruppo di cuochi tra i venti e i quaranta anni che, dopo aver lavorato insieme in vari ristoranti e pop-up ed eventi, si è coscientemente riunito in un collettivo con obiettivi manifesti e linee guida che rendono il loro operato riconoscibile ed affine.
Si sono chiamati New Kids On The Block (NKOTB), e si sono riuniti sotto la bandiera “The Kids Are Allright” dando vita a varie esperienze gastronomiche, pop-ups, takeovers, e ristoranti in proprio. Ma oltre all’aspetto commerciale e alla rete di mutuo supporto che hanno creato per i loro business e loro stessi, i NKOTB hanno iniziato a parlare ad alta voce di salute mentale, sostenibilità lavorativa, crisi e cucina.
C’è anche stato uno spillover in altri campi, specialmente nella fotografia, che con il progetto Nos As Pessoas ha raccolto i ritratti di cuochi e personale di sala e managers della ristorazione portoghese durante e dopo la pandemia, trascendendo gli ideali manifestati anche da NKOTB e manifestandosi in un progetto autonomo e separato.
La fotografia ed il podcast sono stati due campi ampiamente utilizzati e largamente influenzati dalle tendenze nate in seno a questo gruppo di tavernieri, avventori ed artisti, come ad esempio i progetti del fotografo Theo Gould e la sua collaborazione con Inter Magazine di Paulo Amado e del suo Ediçoes do Gosto.
Ma chi sono, dove sono, da dove vengono e soprattutto, cosa fanno e dove vogliono andare?
Sal Grosso & Salmoura: gli inizi
Per alcuni anni prima della pandemia, il centro di questa collettivizzazione che riuniva clienti da un lato del bancone e cuochi dall’altro sono stati due ristoranti in Alfama, appartenenti allo stesso proprietario e ai suoi soci: Salmoura e Sal Grosso.
I due ristoranti si trovavano entrambi poco distanti dalla stazione ferroviaria Santa Apolonia in Alfama.
Nel frattempo, Salmoura è stato chiuso definitivamente, mentre Sal Grosso, forse il più famoso tra i due, ha riaperto con altri proprietari, ma cercando di mantenere intatto lo spirito originale (perlomeno nella carta).
Per qualche anno, questi due spazi sono stati il luogo di aggregazione di cuochi e foodies, avventori e giornalisti.
Tutti, anche i gastronomi piú schizzinosi, ci sono passati almeno una volta. Curiosità, passaparola, chissà.
Ci sono stati avventori ricorrenti, turisti casuali, incontri fortuiti, amicizie che si sono andate rafforzando, storie d’amore e di passione e soprattutto c’è stata una vera e propria rilettura culinaria del concetto di trattoria alla portoghese.
È in questi due ristoranti, oltre che da Prado, che tra il 2016 e la fine del 2019 si è venuto a creare una specie di “movimento lento” gastronomico diffuso e partecipativo, in cui gli avventori smettevano di avere un ruolo passivo e invece si confrontavano con la pubblicazione delle loro avventure gastronomiche sui social media, specialmente Instagram e Zomato.
Dallo schermo alla tavola, si sono cosí formati vari gruppi piú o meno omogenei e piú o meno ricorrenti e coesi che hanno iniziato a dialogare online di gastronomia (poco) ristoranti (molto) e cibo (un po’).
Ma ci sono stati anche orari troppo estesi di 90 ore settimanali o piú per chi lavorava in questi spazi, che, uniti a una endemica carenza di lavapiatti, sicuramente troppo alcol, possibilmente varie droghe, e problemi di salute mentale e fisica derivanti, ne ha decretato la fine in concomitanza con la pandemia.
La novitá di NKOTB e di tutti i progetti che ne stanno derivando è anche l’allontamamento progressivo da un certo stile di vita per una consapevolezza di sé, un rispetto per la profesisone ma anche per l’equilibrio con la vita famigliare e personale, e l’allontanamento dagli eccessi.
Quando Sal Grosso e Salmoura hanno chiuso (il primo temporaneamente, il secondo permanentemente), se ne sono andati tutti.
Dove se ne sono andati tutti?
Gli avventori abituali, in particolare, se ne sono andati per non tornare. Questo fa pensare che non si andasse lí tanto per la qualità del cibo preparato, ma per le persone che lo preparavano.
Sal Grosso ha riaperto dopo la pandemia sotto nuova gestione ma con gli stessi piatti e concetti, è diventato un posto per turisti.
Il primo proprietario, Joaquim Saragga Leal è migrato in Alentejo, sua terra natale, ed ha aperto Taberna Santo Humberto con il suo socio Duarte a Èvora, che ora è (temporariamente?) chiuso. L’altro socio, Filipe Ramalho, è tornato alla pittura, sembra.
Ma intanto sono nati i NKOTB.
NKOTB Collettivo
Tra i NKOTB ci sono volti piú e meno noti, e personale piú o meno attivo.
Non tutti quelli che seguono fanno parte attivamente di questo collettivo, ma ritengo importante notare chi sono coloro che gravitano attorno a questo concetto di cucina, questa gastronomia, e queste idee che NKOTB portano come bandiera.
Il volto piú famoso di NKOTB e della nuova ondata di tavernieri é quello di Zé Paulo Rocha, cuoco e gestore dell’iconico O Velho Eurico. Dopo aver lavorato a Sal Grosso, ha deciso di mettersi in proprio e prendere in mano quello che era un mediocre ristorante di cucina tipica per trasformarlo in quello che effettivamente è diventato il luogo per eccellenza di ritrovo e di sperimentazione di questo nuovo modo di far taverna.
Il suo socio Fabio Algarvio entra in gioco sin dall’apertura del locale. Insieme, hanno cambiato la demografia del ristorante: da avventori spagnoli e francesi di mezz’etá alla ricerca di un piatto con carne, riso e patate a un pubblico giovane di stranieri e residenti, familiari con le dosi piccole e da dividere.
Con loro fin dall’inizio, direttamente da Rotterdam è João Pedro lo Chefe da Aldeia. Lavorava a Rotterdam presso il ristorante caraibico e concettuale Just, ma, desideroso di tornare, stava scegliendo tra varie opzioni e quando si mise in contatto con la ciurma di O Velho Eurico credo che fu subito amore a prima vista. Anche lui, un creolo NKOTB che con il suo passato in ristoranti Michelin, la sua simpatia contagiosa, e la sua padronanza dell’inglese e dell’olandese è un asset per il ristorante.
Tiago de Lima Cruz invece ha continuato a mostrare le sue radici creole. Sua la cachoupa piú famosa della città, si dice, e sua la bandiera per la lotta al riconoscimento di una identitá creola, molteplice e sfaccettata nella gastronomia portoghese. Insieme a Pedro & Pedro, anima e cuore del fu Sal Grosso, ora si muove su diversi progetti ed é un vulcano di idee.
L’inseparabile amico Pedro Abril, infatti, un cuoco fine amante dei sapori forti e con una passione per il ramen e i noodle asiatici, ora gestisce la Musa da Marvila ma anche lui ha un passato in Salmoura e Sal Grosso. Dalla nascita di sua figlia, ha iniziato a lottare attivamente per garantire una vita famigliare al personale di cucina, combattendo contro le ore da 90 ore lavorative e il burnout.
Pedro Monteiro è la barba piú famosa della Mouraria, dove ha aperto la Tasca Baldracca per infondere al quartiere piú multietnico di Lisbona un’aroma brasiliano. Nato a Minas Gerais, della terra natale porta sulla pelle la saudade, e nei suoi piatti evoca la cucina di casa sua, con un twist di ingredienti e un amore per l’olio di dendè che usa per friggere. Con origini spagnole, africane, portoghesi e libanesi, la sua cucina e la sua eredità sono anch’esse creole, riunendo Asia, Portogallo, America ed i suoi ricordi d'infanzia in Brasile.
Leonor Godinho é portoghese e cuoca (cozinheira), è stata l’anima della Musa da Bica, l’outlet della birreria Musa in centro a Lisbona (zona Elevador da Bica) dove ha cucinato dal 2019 riempiendo la sala e la terrazza di avventori. Ora collabora con Vago, Madame Bo, e Cucamonga Discos.
Ana Leao è una musa del nord, e un talento incredibile. La ho conosciuta in un pranzo alla Cucina Popolare della Mouraria dove ha preparato una serie di pietanze con erbe e aromi del bush australiano, paese dal quale era appena tornata. La pandemia la ha bloccata in Portogallo mentre doveva essere in viaggio per il Sudamerica. Meglio per noi: dopo un passaggio nelle cucine del Velho Eurico a preparare specialitá mediorientali, ha integrato Torto Porto e Easy at Selina.
Vitor Charneca, di formazione pasticcere, un’oasi placida di calma ed occhi fissi sul pass: come impiattava lui, nessuno, specie al ritmo di certe nottate in Salmoura. Dalla pandemia si è spostato da Povo nella strada color rosa, la piú instagrammabile di Lisbona.
Miguel Rodrigues, il Viking della Caparica. Una specie di macchina umana, riusciva a sfamare un intero ristorante con una mano sulla griglia e l’altra sul coltello. Ha lavorato a Salmoura, e poi si è spostato vicino casa, all’altro lato del Tago.
Bernardo Agrela ha lavorato in Portogallo, Inghilterra (da Bacchus, Viajante e The Loft di Nuno Mendes), Spagna, Lussemburgo, Giappone, Cina, Maldive e Seychelles. Al suo ritorno a Lisbona, è stato lo chef del ristorante del bellissimo Torel Palace, il Cave 23. Più recentemente, ha fatto parte del progetto A Praça do Hub Criativo do Beato, mentre ora gestisce West Mambo, Casa Capitão, collabora con Vitor Charneca da Povo, e con Pedro Abril integra il podcast O Nosso Conceito è a Partilha.
Lisboa è anche Creola
I NKOTB sono dunque un collettivo di cuochi con uno spiccato senso culturale-gastronomico e geografico.
In questo gruppo si mescolano culture differenti, derivate dalle radici dei loro componenti. Brasile, Capo Verde, Portogallo, il Mondo: la rappresentazione è uno degli elementi fondativi di questo gruppo.
Hanno partecipato in massa a “Lisboa Criola”, la kermesse organizzata quest’anno con l’aiuto dell’infaticabile Inês Matos Andrade, e sono parte delle conversazioni organizzate anche dall’altrettando infaticabile Paulo Amado intorno a identità, salute mentale, e mescolanze sociali e culturali.
In questa avventura si sono aggiunti anche altri cuochi, non partecipanti al collettivo NKOTB ma che si ritrovano nella causa creola della gastronomia lusitana, come la Chef Jeny Suleymange del Cantinho do Aziz e Shay Ola, già chef a Queimado ed ora in Costa da Caparica.
O Velho Eurico
Come ho scritto sopra, con Zè Paulo Rocha lavorano anche João Caro, Fabio Algarvio, e João Pedro. In maniera differente, anche lor partecipano al collettivo NKOT e sono l’espressione di questo gruppo e del sentimento che porta.
È forse Eurico l’erede naturale della tertulia culinaria iniziata a Sal Grosso, che nel frattempo si è evoluta su due vertenti: quella della squadra di lavoro imperniata sulla salvaguardia della salute fisica, mentale e morale di chi lavora, e la vertente identitaria, incentrata sulla essenza creola e la mescolanza culturale di quelli che ne fanno parte.
Ultimamente sta cambiando l’immagine di Eurico, complice una fotografia che rimanda piú al concetto giá esplorato da Prado e da Taberna do Calhau: bistronomismi, fotografie curate di ingredienti e preparazioni, immagini di libri sulle bancate di cucina.
Che sia in atto un cambiamento stilistico della narrativa?
Punti forti e punti deboli di una narrazione gastronomica propria
Parlano, dialogano, si incontrano, respirano e attraggono attenzione, clienti, e persone in una specie di universo proprio che sta definendo una certa gastronomia portoghese.
Dico una certa, perché personalmente non sono convinta che l’unica innovazione da esplorare sia la rivisitazione della cucina tradizionale in chiave bistronomica (come stanno facendo un po’ tutti) o la rivisitazione del concetto di taverna (come i NKOTB).
Apprezzando il loro operato, credo sia un po’ riduttivo dichiarare che questa sia la rivoluzione gastronomica della cucina portoghese contemporanea.
Ma questo non toglie che il loro modello di pensiero riferito alla ristorazione stia facendo proseliti: molti locali che hanno aperto su iniziativa personale e non di investitori, ed anche molti locali finanziati da investitori hanno puntato e stanno puntando sugli schemi basilari dei NKOTB:
Piccoli piatti da dividere tra gli avventori invece che le grandi “travessas” da cui pescare il cibo condiviso. Questa è probabilmente la maggior differenza tra la “tasca contemporanea” e quella tradizionale. Picocli piatti vs piatti da portata
Cabidela, Morcela, Moelas e Iscas: piatti fatti di interiora e sangue. La generazione di madri anni 50-70 che ha sostanzialmente smesso di cucinare in casa per comprare al supermercato ha anche smesso in buona parte di cucinare interiora, come da noi, col risultato che il gusto per questi piatti si sia affievolito. È stata dunque una sorta di riscoperta di Pirro per questa generazione di cuochi tornare al passato, e presentare questi piatti pieni di “yuck factor” a turisti curiosi ed avventori locali incerti.
Lavagnette, non menu: invece di menu di carta individuali, molti optano per una lavagnetta oppure un menu a parete, dal quale in tempo reale aggiungono o tolgono piatti a seconda della disponibilitá, in una dimostrazione ancor piú tangibile del “market to table” (anche se poi il market per molti di loro è il grossista, e non il contadino - perchè i prezzi contano).
Eye-level. Tipico di Sal Grosso e Salmoura ed ora si vede ovunque in cittá: il cameriere viene al tavolo con il menu, oppure lo punta sulla parete, e si accoscia vicino ai clienti, oppure si siede su uno sgabello volante nel prendere le ordinazioni, senza prendere le distanze. In netta ed esplicita contrapposizione con l’alta cucina.
Va loro il merito (insieme Paulo Amado e Inês Matos Andrade) di aver riportato alla moda ed inserito nel discorso generalista del foodismo il concetto di mescolanza creola.
Dico aver riportato alla moda perché in realtà sono vari anni che altri cuochi come João Sà, Kiko Martins, e Rui Silvestre che gravitano nell’area Michelin si dedicano ad inserire nei loro menu piatti, preparazioni e spezie delle loro radici. Con loro, Goa, Brasile, Capo Verde etc. sono già presenze forti nell’alta gastronomia e nella fusione, come riportato da giornalisti in vista.
Ma finora il popolo dei foodies e degli instagrammers ed anche dei turisti non se ne era ancora proprio accorto: è stata questa recente opera di proselitismo (spesso in inglese) ad avvicinare molti, tra cui i turisti/expat, a queste radici culinarie perdute.
Finora non c’era stato per un analogo interesse alla riscoperta di radici “altre” da parte della cucina di taverna e tasco, più impegnate a difendere una portoghesitá legata alla cucina dell’ultimo secolo, dominato dalla presenza un po’ ingombrante di Maria Lourdes Modesto e di ricettari in cui al massimo le spezie erano pepe e sale quanto basta.
Dicono di loro
Non tutti sono convinti della portata innovativa del progetto.
Il fenomeno di aggregazione fuori dai ristoranti in modo non tradizionale dopotutto non é nuovo per il Portogallo. Anzi, una certa gastronomia collaborativa è da sempre presente nel DNA di questo Paese, sin dagli eventi collaborativi dell’ormai mitico Vila Joya in Algarve, alla connessione di territori e cuochi atrraverso gli ingredienti come fa l’Ordine della Cabidela.
La rivista Edições do Gosto di Amado per esempio riflette che “Anche prima della crisi sanitaria, le cene per quattro, sei, otto o anche dieci mani erano comuni dal nord al sud del paese, sia nei ristoranti raffinati che informali. Mescolare cucine con sapori e prospettive diverse e cuochi con stili diversi ha suscitato interesse da parte dei commensali, prova ne è stata la capienza esaurita. Naturalmente, il successo dei pop-up è stato aggravato dalla necessità per gli chef di condividere esperienze: il panorama è cambiato negli ultimi anni e il settore della cucina in Portogallo è più unito: questa condivisione piace e incoraggia e intensifica la creatività, la sperimentazione.”
Ma possiamo dire che NKOTB è qui, e la ristorazione deve fare i conti con questo gruppo, e le sue riverberazioni delle sue rivendicazioni che si fanno sentire in tutta l’area.
A livello sociologico e sociale, questo gruppo ha amplificato la voce di chi stava parlando di giusta paga, di salute mentale, di uguaglianza, e di mescolanza identitaria ed etnica. Non c’è congresso od evento culinario ora dove non si sentano questi concetti.
Al Diario de Noticias tempo fa dicevano di voler reinventare la cucina portoghese contemporanea: “Pensiamo sia possibile farlo diversamente dal modo gerarchico in cui lo chef maltrattava i commis [cuoco con meno esperienza]. Il nostro messaggio è anche parlare di salute mentale in cucina, di ore lavorate, ecc. Alcuni di noi sono diventati amici perché lavoriamo insieme e sappiamo che è possibile fare le cose in modo diverso. E non ha nulla a che fare con la vecchia guardia o i nuovi cuochi. È guardare la vita da una prospettiva diversa. È possibile essere un cuoco o un cuoco e avere una famiglia.”
A Relish Portugal alla fine della pandemia lo scorso anno hanno spiegato che loro “stimano che il 60 percento dei ristoranti di Lisbona fosse rivolto ai turisti e servisse cibo cattivo. Trappole per turisti. Credono che questo tipo di ristoranti abbia sofferto e si aspettano solo il 10-20 percento di riaprire. Nella loro esperienza, i ristoranti che sopravviveranno sono quelli che servono la comunità portoghese, compresi gli espatriati. Lo vediamo. Vengono per bere una birra, mangiare qualcosa e parlarne. I portoghesi non ci abbandoneranno. Quando i turisti torneranno, sarà un bonus. Non vediamo l'ora che arrivi quel momento, per loro e per noi. Ma per ora ci concentriamo sulla gente del posto”.
Ai posteri, come al solito, l’ardua sentenza.
Io intanto vado a mangiarmi uno dei loro classici, un “chambão no pão”.