Parallelismi gastronomici: Iscas à portuguesa e fegato alla veneziana
Molti piatti, un'idea comune.
«Nascere piccolo e morire grande, questo è diventare uomo. Ecco perché Dio ci ha dato così poca terra per la nascita e così tanta per la sepoltura. Nascere con poca terra per morire con tutta la terra. Per nascere, il Portogallo. Per morire, il mondo»
È una frase di Padre António Vieira, gesuita, missionario e scrittore portoghese. E uno dei pochi gesuiti che mi sento di citare, per ovvi motivi.
Estrapolando, dico che si può nascere con dei limiti gustativi molto ristretti ed ampliarli nel corso della vita.
Per esempio, i miei primi ricordi gastronomici sono essenzialmente vegetariani.
Frutta e verdura, formaggi, uova, latte, burro di alpeggio e miele delle arnie di mia nonna.
Ma bastava mettermi davanti pesce o carne, anche se camuffati con panature e in foggia di bastoncini di pesce o nuggets, ed io rifiutavo categoricamente. Una bambina naturalmente veg. Sarei vissuta di carote da sgranocchiare, parmigiano e mele cotte col miele.
Tutto cambia con l’adolescenza, dove durante un viaggio in Croazia scopro il pesce grigliato.
E che scoperta!
Un branzino ha cambiato la mia prospettiva gustativa, ed ho anche iniziato a provare interesse per il fuoco come elemento ricombinante della cucina. Attenzione: il pesce a forma di pesce, non cose strane con tentacoli, gusci o carapaci.
All’università mi avvicino alla carne, complice una lunga permanenza in Toscana e varie puntate in Abruzzo. Ma la carne “esterna”, non le interiora.
Anche questa volta, piccoli passi. Ma dal mais al pollo, è un passo da gigante.
Ora mangio di tutto, o perlomeno lo assaggio: ho scoperto che non mi piace particolarmente il piccione, e della colomba preferisco la versione di pasticceria.
Se posso, dunque, lo evito. E tanta pace per il piccione di Lera di cui dicono meraviglie, ma io rimango con le lenticchie. Anch’esse meravigliose.
Il fegato, in una ricetta simile alla nostra alla veneziana, invece, per la prima volta lo ho mangiato in Portogallo e ben oltre i trent’anni.
La ricetta è simile alla nostra: fegato, cipolle, fuoco. Il risultato, anche: in entrambi i casi si usa l’aceto per stemperare la pastosità del fegato, e per dare vita alla dolcezza delle cipolle.
Chiamate Iscas à Portuguesa o anche Iscas com Elas, in cui le “elas” sono le patate, le iscas sono un piatto molto lisboeta e molto di tasco. Il gastronomo portoghese Virgilio Nogueira Gomes dice che erano un piatto di grande popolarità all’inizio del Ventesimo secolo e che “il loro nome popolare è "bistecche a testa piatta (bifes de cabeça chata)", per il fatto che sono tagliate molto sottili.”
Nogueira Gomes dice anche che erano un piatto cosí intrinsecamente lisboeta che vi erano ben tre stabilimenti commerciali che le servivano giornalmente “tutti con il nome “Casa das Iscas” in Travessa da Queimada, Travessa da Palha e Largo do Carmo”.
Il sito Lisboa de Antigamente riporta una colorita descrizione di queste “casa das iscas”, una di queste era nel largo della chiesa di Santo Domingos, vicino alle odierne rivendite di Ginja: “Le “casas das iscas” erano, di regola, malmesse e sottotono: panche e tavole di legno, con le forchette legate da catene di ferro, e il cuoco quasi sempre con il fornello vicino alla porta di strada; e, nonostante la mancanza di comfort di questi stabilimenti e la mancanza di igiene, le iscas, con o senza “elas”, attiravano i clienti, in quanto avevano un «odore magico a cui nessuno potrebbe resistere»”
Il sito Lisboa de Antigamente riporta invece che una “Casa das Iscas” era in funzionamento fino a qualche anno fa in Bairro Alto, all’incrocio della lunga Rua Atalaia all’incrocio con la Rua da Àgua-Flor.
Sempre secondo questo sito, un’altra casa das iscas si trovava nella Travessa do Chafariz das Terras, dell'acquedotto di Águas Livres.
In Volúpia di Albino Forjaz de Sampaio, scritto 1940, l’autore cita la famosa casa das iscas do Arsenal, situata nella Travessa do Cotovelo e che viene ricordata anche in un famoso fado:
Nel Tratado Completo de Cozinha e Copa di Carlos Bento da Maia, edito nel 1904, anche qui si parla di iscas.
A Valença poi le iscas sono parte di un complesso rituale legato alla Pasqua e al processo a Juda isca-riota, proprio nel epriodo in cui gli agnelli venivano sacrificati per la mensa domenicale dopo il digiuno, in una teatralizzazione dell’uso del quinto quarto.
A Porto invece le iscas sono fritte in una sorta di pastella, ma attenzione: in questo caso non si tratta di fegato ma invece si tratta di baccalà. Stesso nome, cose molto diverse. Succede in Portogallo (migas, açorda), attenzione. Luogo che vai, menu che cambia!
Ma torniamo alle “nostre” iscas.
Il fegato con le cipolle è un grande piatto che abbraccia davvero tutte le sponde del mediterraneo. Nel vicino Marocco, ad esempio, il fegato con le cipolle é una delizia da assaporarsi con un’aggiunta di cumino, pepe di cayenna secondo Spruce Eats. Tagliato a cubetti, invece che a strisce, si chiama Kabda.
Segno che siamo più simili di quanto pensiamo. Almeno a tavola.
Iscas per tutti i gusti, anche per i meno avvezzi a mangiare del “quinto quarto” si trovano, o si trovavano, da O Velho Eurico, e un po’ in tutte le tascas sia in centro che in periferia. Chiedetele senza paura. Chiudete gli occhi: assaggiate. Vi garantisco che vi sentirete come un lisboeta autoctono, un vero “alfacinha”!