Perché non c'é Slow Food in Portogallo?
Nel 2007 uno studioso ha pubblicato "A gourmetização da comida da pobreza", e il suo impatto risuona ancora oggi. Nel frattempo la gastronomia si è evoluta: ma come e dove?
Ho pubblicato questo articolo in inglese nel mio blog sulla gastronomia:
Qui decido di ampliare la riflessione, in italiano. Chissà se qualcuno, da qualche parte in Slow Food, lo leggerà.
Attenzione!
Anche in questo caso, vi avverto.
Questa è una lettura molto lunga.
Leggiamo insieme l’articolo pubblicato nel 2007 dal dottorando Nuno Domingos: “A gourmetização da comida da pobreza. O presidium Slow Food do queijo Serpa”.
È stato pubblicato in un’epoca in cui il foodismo doveva ancora arrivare (il 2007 sembra un secolo fa, in termini di comunicazione gastronomica) e presenta una tesi molto antagonista all’introduzione iniziale del movimento Slow Food in Portogallo.
Sorpresi, vero?
Lo ero anch'io.
Ho sempre pensato che Slow Food fosse intrinsecamente buono e una forza di cambiamento da sostenere, eppure... non qui, a quanto pare.
Mi ero giá imbatuta in una sorta di insofferenza anticolonialista nei foodies portoghesi: quando parlavo loro di Slow Food e die quanto il movimento abbia aiutato a preservare cibi che sarebbero altrimenti andati perduti, i miei interlocutori lusitani scrollavano le spalle, dicendo che “questa roba italiana non aveva spazio qui” e che “loro avevano già il Progetto Materia”.
Sí, bellissimo, peccato che Slow Food arriva al cittadino comune, Materia rimane un bellissimo volo pindarico, un segreto mantenuto tra (qualche) produttore, consumatori abbienti e (qualche) chef.
Non arriva, diciamo, al supermercato, dove invece un prodotto SlowFood eccome se ci arriva. E non solo dentro Eataly: ho visto prodotti di presidi in negozi, pizzicagnoli e persino supermercati e GDO.
Invece in Portogallo, è difficilissimo per un compratore trovare i prodotti “stile SlowFood” se non con complicate architetture di mail e telefonate e miriadi di website locali.
Si legge nel saggio del Dr. Domingos:
Il nostro obiettivo principale in questo lavoro è documentare la storia sociale del formaggio Serpa, una storia che consideriamo molto più complessa rispetto alla versione presentata dagli organizzatori del Presidio. Situando il formaggio Serpa in una storia socioeconomica ricostruita della regione e dei suoi abitanti, cerchiamo di de-estetizzare questo alimento e i suoi produttori. La storia qui proposta è una storia deromanticizzata del formaggio Serpa definita dai vincoli della povertà, della fame e della lotta di classe. È una storia in cui il formaggio Serpa ha indubbiamente avuto un ruolo importante, ma un ruolo che, a nostro avviso, dimostra quanto ingannevolmente Slow Food oggi lo celebri come un alimento tradizionale, senza tempo e senza classe.”
Questo saggio è probabilmente la critica più dura che ho letto a SlowFood come movimento, dal punto di vista di un paese che avrebbe tratto così tanto beneficio dall’adesione a questa iniziativa.
Sappiamo come è andata la storia in seguito.
Non c’è traccia del movimento Slow Food e delle sue ricadute benefiche in un Paese che ne avrebbe un disperato bisogno.
Un paese che sta perdendo a vista d’occhio tradizioni, prodotti e che sta lesinando sulla qualità.
Niente Slow Food, niente Slow Fish, niente supermercato equivalente ad Eataly.
E niente ricadute sul territorio.
Un Paese piccolo per territorio, popolazione e PIL, un territorio (specie l’emtroterra) ancora quasi inesplorato per il turismo enogastronomico (che si appiattisce tra sardine e pastel de nata, perché grigliato e “francesi e”, con poco altro in Algarve), per il quale avere un'offerta forte e riconosciuta a livello internazionale avrebbe fatto la differenza .
Purtroppo, quando Slow Food è arrivato in Portogallo, era troppo presto.
Lo stesso autore lo riconosce:
Mentre il praesidium italiano ha spesso approfittato di una dinamica nicchia di mercato nazionale per il cibo regionale di “qualità”, questa nicchia praticamente non esiste in Portogallo (Maia, 2008), uno dei paesi più poveri d’Europa.
Dobbiamo ricordare che il Portogallo del 2023 è un paese completamente diverso dal Portogallo pre-2010, quando l’autore scriveva.
Allora la nicchia a cui fa riferimento l’autore non esisteva realmente.
Oggi però la situazione è diversa.
Abbiamo più turismo e più denaro circolante. Più residenti stranieri. Più consapevolezza e cultura.
Oggi abbiamo un'esplosione della gastronomia che si sta costruendo attorno alla crescita esponenziale e all'afflusso di ricchi stranieri: tutto ciò che si apre di recente tra Piazza Rossio, Chiado e Cais do Sodré prende di mira gli stranieri e i loro soldi.
Le comunità locali di buongustai, a parte i pochi anziani benestanti, continuano a lottare e ad affrontare quasi gli stessi problemi del 2008: la scomparsa dei “vecchi buoni posti” dove mangiare per 5 euro.
Il saggio afferma che
la maggior parte della popolazione fa acquisti nei supermercati e nei discount. Pochi possono pagare di più per il loro cibo.
Poco dunque sembra essere cambiato per la gente del posto, che lotta costantemente tra le abitudini alimentari della popolazione e le spinte a migliorarle da parte di chef e comunicatori - come lo spinoff del Progetto Matéria, il Progetto Residências sempre di Chef Rodrigues, che dai ristoranti Michelin cercano di riportare la gastronomia culturale alle persone.
O almeno così dice ad alta voce la maggior parte della comunità dei buongustai, ignorando il fatto che ci sono portoghesi benestanti e stranieri-residenti altrettanto abbienti e che nessuno di loro ha la minima possibilità di poter acquistare cibo di qualità, poiché non c'è nulla in giro da cui si possano consegnare prodotti di qualità. dalla fattoria al frigo (come Peck a Milano, o Eataly, per fare un esempio).
Il Club del Gourmet del Corte Inglés locale é misero, se paragonato a qualunque pizzicagnolo chic in Italia. E misero anche comparandolo ad altri Corte Inglés presenti in Spagna. Qualche grande produttore, solo grandi marche prodotti che lasciano a desiderare.
Insomma, una lacuna grave.
L’articolo sostiene che:
l’agenda del Preesidium è un modo per Slow Food di fare appello ai poveri affinché lavorino di più per produrre prelibatezze per i ricchi. Slow Food a queste accuse ha sempre risposto: "Non paghiamo abbastanza il nostro cibo". Con questo obiettivo i Presìdi si propongono di aumentare il prezzo che i produttori possono ottenere per i loro prodotti vendendoli come alimenti “di qualità”. Lo status di Presidium è molto ambito dai produttori in Italia, dove il marchio distintivo di Slow Food è ampiamente rispettato e dove il riconoscimento da parte dell'organizzazione può immediatamente incrementare la domanda e il prezzo.
Il saggio che stiamo leggendo è una dura critica all'ambizione di (un produttore in particolare del) formaggio Serpa dell'Alentejo di diventare un Presidio, durante la manifestazione Cheese organizzata nel 2007 da Slow Food.
Tuttavia, la visione parziale dell’autore si riflette in frasi come quella sopra, frutto del suo tempo e del suo ambiente.
Un decennio dopo nessuno metterebbe in dubbio il presupposto secondo cui è GIUSTO pagare di più per una produzione equa.
Giusto per l'ambiente certo, ma anche per sostenere le spese della piccola produzione.
Trovo assolutamente interessante ripercorrere ciò che pensava questo studioso di antropologia e gastronomia nel 2007:
È vero che oggigiorno gli SlowFood, (…) sono stati spesso visti come dei circoli di ceto medio-alto, composti da soci che possono permettersi di assaggiare e celebrare cibi.
Forse era cosí agli inizi pionieristici, ma oggi che i Presidi Slow Food si trovano anche alla Coop, non piú.
L'avversarietà presente in questo paragrafo, mi sembra, in Portogallo si è riverberata nel foodismo portoghese negli ultimi dieci anni:
Crediamo che sia essenziale guardare alle tendenze elitarie di Slow Food alla luce della chiara ambivalenza dell'organizzazione nei confronti dei consumatori. A nostro avviso, SIow Food si caratterizza per un paradosso fondamentale: si vede come un movimento di opposizione al consumismo globale, ma allo stesso tempo è parte essenziale di questo stesso fenomeno; invita i suoi membri a intervenire nel mondo mercificato del cibo, ma attraverso il consumo, anche se più consapevole.
Purtroppo, come dicevo all’inizio, ancora oggi la maggior parte dei buongustai che operano nella sfera Instagram del cibo e della gastronomia portoghese sono antagonisti, o ignoranti, riguardo al progetto Slow Food, che liquidano principalmente come “una cosa italiana”.
Il triste risultato é che mentre in Marocco e Spagna, entrambi paesi vicini, ci sono fiorenti ecosistemi praesidium, il Portogallo ne é quasi sprovvisto.
L'attenzione qui in Portogallo è tutta rivolta ai produttori, che sono l'ossessione costante della gastronomia portoghese.
Invece, con il tempo, l'attenzione del movimento Slow Food si è spostata sui prodotti - e con essa, lontano sia dai produttori che dai consumatori di tali prodotti.
Concentrandosi sui prodotti, più produttori sono entrati nell'arena, migliorando così la qualità e la disponibilità dei prodotti e raggiungendo meglio i clienti.
Sembra semplice.
Il Portogallo, invece, è rimasto ancorato alla centralità del produttore, come dimostra (con grande successo) il Progetto Matéria.
Lo svantaggio di questo approccio è chiaro: una dipendenza totale dal produttore per creare prodotti di qualità, una barriera all’ingresso, mancanza di concorrenza e una bassa produzione che non crea slancio per la distribuzione e quindi non raggiunge i consumatori.
Come consumatore, devo compiere diversi passaggi per trovare i prodotti nell'elenco Matéria e, nella maggior parte dei casi, non esiste proprio un posto dove posso acquistarli.
E per di più, molti tra quei produttori identificati, non possiedono un canale di distribuzione. Non posso proprio, neanche volendo, acquisire i loro prodotti.
Sicuramente, al momento non esiste un posto dove posso raggiungere tutti questi prodotti affinché vengano consegnati a casa mia.
In questo saggio è chiaro come questo approccio sia nato già agli inizi degli anni 2000, e si basasse sul fatto che “i portoghesi sono poveri, quindi comprano solo prodotti di bassa qualità in un supermercato di massa”:
“Il i produttori elogiati da Slow Food sono spesso descritti come “contadini”, discorsivamente interpretati come senza tempo (legati a un passato pre-consumistico imprecisamente definito ma che sopravvive o rinasce oggi) e senza classi (non così agiati da impedire la simpatia dei membri di SIow Food, ma non così poveri da non poter mangiare bene, poiché non sono solo produttori ma anche membri di una comunità che consuma i propri prodotti "di qualità").
Nell'immaginario dell'organizzazione Slow Food, questi contadini che fanno buon cibo e mangiano buon cibo non hanno “altri” sociologici, siano essi ricchi o poveri, oggi o in passato; la loro "uscita" è il consumismo stesso, una forza contro cui combattono costantemente, una lotta a cui Slow Food chiede ai suoi membri di unirsi.
Il saggio si chiude con:
se vogliamo rendere il cibo migliore, più pulito e più giusto in futuro, dobbiamo iniziare con una comprensione più attenta delle vere motivazioni, esperienze e azioni di persone reali come queste.
Sono stupita.
Popolare e tradizionale non necessariamente si confondono.
Qui la conclusione è la stessa, ed è - curiosamente - assolutamente in antitesi con lo spirito di Slow Food e i suoi concetti di Arca del Gusto/Praesidium, così come con tutti gli sforzi volti a riportare il consumo di prodotti a un'epoca antecedente alla massiccia industrializzazione e supermercati.
Questo è così radicato in ogni processo che è impossibile che iniziative lodevoli come il progetto Matéria o il supermercato A Praça (di nuovo, qualcosa creato per essere una specie di Eataly del Portogallo, a quanto pare) decollino.
Il ricercatore dice:
Senza una tradizione romanzata come punto di riferimento, l’estetizzazione del cibo da parte di Slow Food non può superare le divisioni temporali e sociali (Miete e Murdoch, 2002:325), limitandosi ad essere un consumo di nicchia, all’interno del quale i suoi membri “creano identità” attraverso l’acquisto consapevole di prodotti presidi Slow Food. solo ad un numero limitato di privilegiati.
Questo è però proprio quello che è successo con progetti e iniziative locali e con la loro enfasi sul rapporto tra gastronomia mediato attraverso un esperto (sia esso uno chef, o un gastronomo).
Perché in Portogallo è così sradicata l'idea che ciò che è popolare – perché ampiamente disponibile nei supermercati – sia buono e desiderabile?
Nel saggio si afferma che
quella che oggi viene descritta come la “preferenza” dei locali per i formaggi più duri e stagionati è qualcosa di (sovra)determinato dalle contingenze storiche. I formaggi a pasta dura hanno permesso ai lavoratori senza terra di conservare questo cibo più a lungo e quindi di estendere il consumo di questa fonte vitale di grassi e proteine per più mesi in estate e in autunno.
Ciò che accade nel “Portogallo gastronomico” dunque non ha alcun impatto sulla popolazione generale. Le sue iniziative e creazioni restano in un ambito distante dal consumatore quotidiano.
Questo è esattamente l’opposto di quanto avvenuto in Italia.
Se guardiamo la storia del formaggio Serpa, essa è cristallina, eppure l'autore la interpreta in modo completamente diverso, giungendo a conclusioni opposte alle nostre qui.
Quando non disponevano di refrigerazione, questi casari spesso non erano in grado di far maturare i loro formaggi fino a raggiungere la forma ideale nelle condizioni in continua evoluzione in cui lavoravano. Una percentuale significativa dei loro formaggi finiva addirittura per deteriorarsi. Quando l’ASAE ha iniziato ad attuare la legislazione dell’UE, pochissimi produttori di formaggio stavano ancora stagionando il formaggio alla vecchia maniera; solo pochi produttori che lo hanno fatto sono stati costretti ad abbandonare questa pratica.
Dal 1987 in poi il formaggio Serpa DOC ha consolidato mutevoli preferenze di gusto. Uno dei suoi obiettivi principali era rendere il formaggio Serpa più competitivo oltre la sua regione di origine. Come abbiamo visto, nel mercato nazionale in crescita, il Serpa ha dovuto competere con altri formaggi portoghesi, vale a dire il Serra da Estrela, con cui molti consumatori avevano più familiarità o lo conoscevano da più tempo.
Nel palato nazionale che si stava formando, la Serpa era troppo piccante - troppo diversa dalla Serra da Estrela, con la sua consistenza morbida e cremosa - per soddisfare le loro aspettative (Bettencourt, 2008). L'ADOC Serpa ha cercato di invertire questa situazione, imitando in larga misura la Serra da Estrela, non solo nelle strategie di mercato ma anche nei metodi di produzione. In questo senso la DOC “definiva” il formaggio Serpa come burroso e ne stabiliva la stagionatura minima in 30 giorni.
Vedi quello che vediamo qui?
L'appiattimento del gusto, causato dai formaggi molli disponibili nei supermercati, ha modellato la preferenza dell'intero Paese, appiattendo le differenze regionali e locali.
E invece di essere identificato come una questione da risolvere ed eventualmente ribaltare, l'autore rimprovera i produttori di Serpa di volersi attenere ad un gusto che è antecedente all'esistenza di formaggi omogenei.
Nella lotta contro il queijo flamengo, gli autori sparerebbero a vista per proteggerlo, perché “è il formaggio che la gente chiede e desidera”.
L'autore afferma infatti che
l'organizzazione è stata contraria a riconoscere "linguaggi culinari" o "culture" alimentari o "gusti" dei consumatori della classe media, come gli abitanti delle città portoghesi del dopoguerra, suggerendo invece che queste persone hanno bisogno di un " educazione del gusto”.
Sul serio?
Mi trovo così drammaticamente sullo spettro opposto della comprensione della realtà gastronomica che avrei voluto gettare in aria il laptop e urlare.
L'onnipresente appiattimento del gusto verso il cibo medio-cattivo dei supermercati è ciò che ha e continua a uccidere la gastronomia portoghese - una gastronomia così ricca di passato che se guardiamo agli ultimi cento anni, potrebbe essere un paese completamente diverso, soprattutto nel classi medie urbane.
Quelli del bifinho con arrozinho e batatinha, uno dei miei più grandi crucci.
Ma per l’autore non basta:
Nel mercato del lavoro di oggi (…) pochi se non nessuno sarebbero disposti a svegliarsi alle 3 del mattino per mungere a mano le pecore merino.
Lapalissiano, Sherlock.
Ecco perché sono necessarie reti (di distribuzione e comunicazione)che colleghino produttori e consumatori.
Una rete che si costruisce, avete indovinato, attorno ai prodotti.
Togliendo l'attenzione ai consumatori e ai produttori, e concentrandosi esclusivamente sul prodotto, Slow Food è riuscito a socializzarli nei supermercati, tanto che oggi i prodotti a marchio Slow Food si possono trovare ovunque: sia nei negozi specializzati di alta gastronomia che nelle tavole calde, così come nei locali umili e nei supermercati di massa.
L’educazione dei consumatori ad essere orgogliosi dei propri prodotti locali e a “chiederli” ha rivoluzionato il consumismo italiano.
Senza di esso ci troveremmo nella stessa situazione paradossale in cui qualcuno può dire che il “praesidium de Serpa fonda la sua presunta autenticità sull'affermazione che “le popolazioni locali preferiscono” Serpa Velho.
Tuttavia, come abbiamo già visto, il cambiamento nei modelli di consumo avvenuto negli ultimi decenni punta in un’altra direzione. (…) Questi “preferivano” i formaggi a pasta dura, non solo perché erano familiari e “appropriati”, ma anche perché, data la loro necessità di conservare i grassi e le proteine del latte durante i mesi estivi e autunnali, era irragionevole per loro preferire i formaggi a pasta dura. più morbido.
I proprietari, che dipendevano meno dal formaggio come fonte di grassi e proteine, e che avevano un maggiore “potere di scelta” su ciò che mangiavano, in realtà sceglievano di mangiare formaggi più morbidi e più giovani”.
Quando ho iniziato a gravitare attorno all’ambiente gastronomico portoghese, sono rimasta molto sorpresa dal fatto che lì Slow Food non esistesse.
Uno dopo l’altro, tutti i foodies e gli esperti del settore con cui ho parlato in questi anni mi hanno sempre dato lo stesso feedback: sentivano che SlowFood era una cosa italiana e non aveva niente a che fare con il Portogallo.
L'idea di garantire un quadro di qualità in grado di salvaguardare le tradizioni alimentari e produttive locali, tipiche e antiche, come è lo spirito di Slow Food Internazionale, è stata sentita come una cosa estranea, da respingere e da cui stare alla larga.
In questo ambiente, solo gli enormi sforzi guidati dal Progetto Matéria hanno portato a qualcosa di concreto: un elenco di produttori, che producono prodotti di qualità.
In una sorta di versione artigianale di Slow Food che mi ricorda com'era il movimento agli inizi, il progetto Matéria è al momento l'unico progetto nell'ambito della valorizzazione e salvaguardia dei prodotti tradizionali portoghesi.
Perché i portoghesi sono così orgogliosi di dover andare sempre per la propria strada?
Sta succedendo di nuovo, questa volta con la guida Michelin.
Dopo anni e anni di lamentele su lamentele per essere stati spinti nell’ombra dal loro vicino più grande, più ricco e più popoloso (la Spagna), finalmente il Portogallo avrà la propria guida Michelin, individuale, e la propria cerimonia quest’anno 2024.
A parte l'evidente piccolo effetto economico (qualcuno raccoglierà i benefici ed i soldi offerti dalla Michelin, e saranno le consulenze locali invece che quelle spagnole ad organizzare gli eventi ed i lavori), non vedo molti benefici.
Per i portoghesi il Portogallo è tutto: il centro del loro mondo.
Un po’ come la Francia per i francesi e l’Italia per gli italiani, pensano che qualunque cosa sia loro, sarà necessariamente la migliore.
Ma ahimè non è così.
Il Paese è piccolo, il mercato (eno)gastronomico ancora più piccolo - e non sa fare rete.
E il mercato per coloro che hanno potere d’acquisto e che potrebbero acquistare cibo di qualità per i loro ristoranti o le loro case, ne è una frazione.
Per alcune cose, c’è bisogno di dimensioni e scalabilità che il Portogallo semplicemente non ha.
E basare ciò che è gastronomicamente valido sull’ultimo mezzo secolo di gastronomia è un errore intellettuale che porta necessariamente a conclusioni errate:
“La nostra conclusione è che se vogliamo rendere il cibo migliore, più pulito e più giusto in futuro, dobbiamo iniziare con un comprensione più attenta delle vere motivazioni, esperienze e azioni di persone reali come queste.”
La mia conclusione invece é che non dobbiamo basare la Gastronomia con G maiuscola sulla signora Maria o il signor José che fanno la spesa al discount.
Al contrario: se vogliamo elevare la gastronomia portoghese, dobbiamo iniziare a relativizzare i suoi ultimi 50-80 anni, per cercare di recuperare le tradizioni com'erano prima dei grandi gruppi di supermercati.
Prima che la gente si convincesse che il “cibo dei poveri” come la zuppa di beldroegas valesse meno del bifinho com batatinha e arrozinho.
E iniziare a rendersi conto che c’è una fetta crescente di popolazione residente (stranieri e autoctoni) con reddito disponibile, istruzione e interesse a riempire le proprie dispense con cibo di qualità.
Letture consigliate e bibliografia
Araújo-Rodrigues H, Martins APL, Tavaria FK, Santos MTG, Carvalho MJ, Dias J, Alvarenga NB and Pintado ME (2022). Organoleptic Chemical Markers of Serpa PDO Cheese Specificity. Foods. 2022, 11(13), 1898. https://doi.org/10.3390/foods11131898
West, Harry G., Domingos, Nuno (2016). A gourmetização da comida da pobreza. O presidium Slow Food do queijo Serpa. In Ágoas, Frederico, Neves, José (Orgs.), O espectro da pobreza: história, cultura e política em Portugal no século XX, pp. 173-205. Lisboa: Mundos Sociais http://hdl.handle.net/10451/27711