Cucina o barbarie?
Leggere il ricettario di Maria Nicolau con gli occhi di un "giovane barbaro" e pensare al "cozido" della domenica.
Leggere il ricettario di Maria Nicolau è una boccata d’aria in un momento gastronomico pieno di Masterchef strillanti e stelline Michelin che sembrano avulse dal contesto geopolitico, sociale e culturale che permea le cucine delle “persone normali”: quelle che non vivono e respirano gastronomia professionale, ma che la praticano ogni giorno davanti ai fornelli.
L’antitesi dello Chef che alla fine incendia il suo ristorante. Quello di The Menu, o del Noma che in una poverissima campagna stampa brucia il bello e il buono di quello che ha costruito per più di dieci anni sotto un cumulo di cenere di stagisti non pagati.
Anche lui sí, analogamente estremo, che fa del suo (rinomatissimo) ristorante un non-ristorante, un laboratorio-con-popup. Qualunque cosa esso sia.
Qui no. In questa cucina si cucina. E si mangia.
Perchè Maria non scherza. Lei è una cuoca, una cuciniera, un’artefice della e nella cucina.
Immersa fino ai gomiti nella materia, sente la prossimitá con le generazioni di cuochi e cuoche che la hanno preceduta e che la seguiranno in una maniera delicata, come i tratti di penna che usa per descrivere la maniera di disossare una zampa di cinghiale appena arrivato in cucina.
Invita ad approssimarsi alla cucina partendo dalla maniera in cui si comprano gli ingredienti: verdure fresche, pane di panificio artigianale da congelare, anche. Animali interi quando si può.
Senza paura.
Alla Direttrice del Master in Comunicazione Gastronomica che sto seguendo, Yanet Acosta, che la intervista a Madrid dice che: “la comunicazione gastronomica si è concentrata anche su questi 25 anni di lavoro con un fenomeno moderno come quello del ristorante (con solo 80 anni di vita) rispetto ai 100.000 anni della cucina domestica, che lei simbolicamente identifica in una escudella.”
Esorta alla scoperta curiosa in cucina ma invita anche al serissimo compito di ridare dignità alla pentola che ribolle, alla minestra, alla zuppiera.
Anzi, lei la escudella la invoca proprio, come una maga davanti al calderone fumante.
Perché, si chiede, il ramen ci fa correre al ristorante e ci fa improvvisare in cucina e il minestrone, la zuppa, la ribollita, il cozido invece non hanno questa dignità?
La escudella è un simbolo di pietanza serissima, è stata a lungo la base della cucina e della gastronomia ed è la parte riconfortante della tavola.
Dopo aver letto il suo libro, ci sentiamo anche noi investiti di questo sacro compito.
A BonViveur che chiede quale è per lei la giornata perfetta, Maria risponde “Visitare una piccola fattoria, un pastore con un gregge, e prova i loro formaggi, i loro stufati, le loro conserve, ascoltandoli parlare e raccontarmi le loro cose.”
Come non darle ragione?
Tra una giornata al centro commerciale ed una a passeggio nei pascoli, chi se non persone in estrema povertà materiale o morale sceglierebbero volontariamente la prima?
“You do you”, ovviamente, ma andrebbero un po’ ripensate le nostre priorità.
E quando ancora BonViveur incalza e le chiede quali siano le doti necessarie ad essere un buon gastronomo, la risposta di Maria è perfetta: “Capacità di osservazione e astrazione del piatto: la cucina non è un'attività di consumo autoconclusiva, ma un vortice in cui converge l'intera storia dell'umanità.”
Maria poi invita ad andare a caccia di ingredienti, non banalizzare la propria cucina con preparati pronti e cibi che sanno di nulla dei supermercati. Insegna a stoccare la dispensa per momenti di fretta, per non dover ricorrere al take away.
Per me, uno dei libri più rivoluzionari della gastronomia contemporanea.
Si, più di quello delle fermentazioni del Noma (pace all’anima sua) che comunque mi faceva pensare (con rimpianto, anche) alle ricette delle nonne ebree e delle loro conserve sottaceto.
Mi auguro che questo libro venga tradotto in italiano perché possiate leggerlo anche voi.
Ma se invece pizzicate dalla curiosità, potete sempre comprarlo in spagnolo e tradurlo. Con Google Translate se necessario.
Per la escudella!
La escudella portoghese per antonomasia è il cozido. Una pentola in cui si mettono a bollire vegetali, carni, salumi, e legumi. Qualche erba, e tanta acqua. Un pasto primordiale.
Ne abbiamo accennato qui.
Il cozido è un piatto della domenica, delle feste, dell’autunno e dell’inverno. Ha il cavolo come la ribollita ed i fagioli o ceci come la nostra pasta e fagioli. Ma ha anche orecchie di maiale, carne di vitello e pollo, morcela, chouriço e salsicce varie.
La versione di cozido di cui io vado matta è il cozido de grão che fanno in Alentejo.
Poca carne, molti ceci e soprattutto menta fresca a ricordare che questo piatto anticamente era patrimonio comune di al-Andalus: per alcuni con maiale, per la maggior parte degli altri (ebrei e musulmani) senza.
Dove mangio io il cozido?
A me piace mangiarlo alla domenica da Bom de Veras a Laranjeras a Lisbona. Bom de Veras è il ristorante “segreto” dove chefs, gastronomi e gourmet vanno a rifocillarsi.
Luogo prediletto anche da dirigenti e solvibili che approfittano della cucina deliziosa, della sala per fumare sigari, e della pazienza infinita del proprietario per stappare bottiglie di vino buono fino a notte inoltrata.
In domeniche speciali, la cantina Vale da Capucha a Torres Vedras organizza un bel pranzo di cozido per tutti nella bellissima cantina di famiglia.
Va prenotato con molto anticipo perché è diventato un punto di ritrovo famoso, non solo per la bontà del cozido e degli ingredienti, ma anche per la simpatica abitudine di “bring your own bottle” che crea occasioni di scambio e assaggio con i vicini di tavolo. Ci siamo stati a Novembre ed è stato un giorno bellissimo di vino, conversazioni e pancia piena.
Per quanto riguarda il cozido de grão, bisogna convincere Leopoldo della Taberna do Calhau a preparare il suo, ricetta di famiglia.
Oppure andare fino a Mertola in basso Alentejo a mangiarlo al ristorante Alentejo o a Castro Verde da Cavalariça. In questi due casi, per dirla come la Michelin, il piatto (e l’atmosfera) valgono il viaggio.
Ay, si mi buena amiga Maria lee que dices que ha escrito un recetario😂😂