Dall’inizio della pandemia, a Lisbona hanno iniziato a spuntare ristoranti Omakase praticamente ovunque. A controbilanciarli, un grande numero di spesso pessimi ristoranti di Ramen, e poco altro.
Qualche Izakaya, più di nome che di fatto, completa la scena portoghese della cucina giapponese che, con la chiusura nell’inverno 2024 di Tasca Kome, una specie di “everyday restaurant” alla giapponese, iniziava a diventare stantio.
Ma improvvisamente, come una ventata di freschezza primaverile, a marzo 2024 il sushiman e Chef Lucas Azevedo é tornato in città con una novità sconvolgente.
E mentre tutti gli altri Chef si impelagano in progetti poco remunerativi di “bancone da 8 posti, prezzo a partire da 85 euro a testa”, Lucas ha fatto una vera e propria giravolta ed ha costruito un ristorante di cucina tradizionale, locale, buona e a giusto prezzo. IoOmakase is dead, ammicca un neon piazzato strategicamente dirimpetto al bancone del ristorante (Rua de Boavista, Lisboa), che sta già catturando decine e decine di selfies.
Forse non é morto, ma come concetto ha un po’ stufato.
A parte un piccolo gruppo di foodies, la maggior parte delle persone va a mangiare fuori in compagnia e per divertirsi.
Certo, il cibo negli ultimi anni ha acquisito sempre più importanza - e ne sono la prova i nostri cellulari, con cartelle foto letteralmente intasate di fotografie di cibo. Ma questo focus sulla cucina e sui cuochi ha fatto venire meno il focus sulla sala - bistrattata e maltrattata, é diventata un hobby per studenti invece che un lavoro dignitoso per professionisti con esperienza.
E cosí, parte del divertimento nelle sale é scemato: nel silenzio o nella musica soffusa, “lusso” ha iniziato a significare “pranzo monastico”. 15 portate, ma da degustare in estasi sublime e silenziosa come monaci del gusto.
E invece no.
Siamo anche stufi: basta con questi vezzi da primadonna, vogliamo che il cliente torni al centro dell’esperienza di ristorazione. Perché se é vero che su errori tecnici in cucina sappiamo passare oltre, non torneremmo mai invece in un ristorante dove non siamo stati trattati bene.
Non tutti sono food scouts, critici gastronomici o gastronomi.
Il cibo per la maggior parte delle persone non é da sezionare in millesimi e strati, cercando profondità o larghezze gustative.
Il cibo si mangia, magari accompagnato da un bicchiere, in compagnia. Per divertirsi.
Ed é il divertimento la chiave di volta di Ryoshi.
Dimenticate il giapponese monastico e silenzioso.
Qui siamo alla musica alta, ai bicchieri che tintinnano, ai gruppi di amici che festeggiano e alle persone sole che vengono a mangiare e si divertono, in continuo dialogo con il servizio.
Una cucina di conforto e di divertimento perché, diciamocelo subito, siamo anche stufi di dover scegliere tra:
Omakase monastici, in cui i pasti sembrano scanditi da orazioni, in silenzio religioso.
Otto, dodici posti. Menu carissimi, e spesso e volentieri un riso non all’altezza.
Ramen mediocri
Ristoranti di fusione, in cui più che altro si vede confusione.
Sushi all you can eat - nemmeno vale la pena di commentare
Dunque, RYOSHI viene per scardinare tutto e scompigliare le carte in tavola. Come Canalha, di cui vi avevo parlato qualche tempo fa.
Potete leggere qui:
Ma torniamo a Ryoshi, ed andiamo ad assaggiare qualche boccone.
Si inizia col botto: un couvert di maionese piccante in cui intingere dei pezzi di pesce secco e stirato. Sembrano fossili, ma sono edibili.
Vi ho mostrato la combo di pesce fritto in escabeche con l’onigiri di riso in un brodetto delizioso nella prima foto.
Un altro grande classico, un lievissimo pan brioche ripieno di golosità e un würstel giapponese.
Oppure, il piatto forse più iconico di questo giovanissimo ristorante - un piatto che viene da vari anni di eventi pop-up ispirati al cibo da strada giapponese, di cui Lucas é maestro: il katsu sando di lingua, una delizia che viene servita nel tipico pane soffice appena tostato - la prima foto di questo articolo.
Oppure ancora, il piatto da mangiare con golosità sporcandosi le dita: un connubio tra Giappone e Portogallo, perfetto: un pane fritto, karepan, da scarpettare nel seghetto delizioso di un curry delicato, ma con un kick finale.
Per gli irriducibili ci sono sushi e sashimi, ma il trucco qui é un occhio alla sostenibilitá, cercando pesci “poveri” e scegliendo quelle varietà che non vengono solitamente apprezzate.
Anche il regno vegetale é degnamente rappresentato, con melanzane fritte, insalate delicate e piccanti, una golosa insalata di patate e un meraviglioso piatto di spinaci e sesamo.
E per finire, una strizzata d’occhio alla gastronomia portoghese, con una “pera ubriaca” ma di sake.
Insomma, un luogo da mettere sicuramente in agenda.
Un ristorante dove ci si diverte - e molto, ma dove si può anche essere sottilmente solleticati a livello intellettuale, con continui richiami alla cucina tradizionale delle regioni giapponesi e al loro link “Nanban” con la cucina portoghese di origine arabo-andalusa.
Un ristorante dove tornare anche a bere solo uno dei loro cocktails meravigliosi, come questo “dessert liquido” di fragole succose e crema di Philadelphia, una evidente presa in giro alla miriade di “sushi all you can eat” con i più disparati ingredienti.
Si spende poco, senza vino siamo sui 35 euro a persona con un paio di piatti ed un dessert, e si esce sazi e soddisfatti.
Imperdibile il micro spazio alla finestra, aperto sulla strada. Una posizione privilegiata vicino al bar, fatta per vedere ed essere visti.
Molto interessante il MANIFESTO, che come quello di Marinetti si presenta come una rottura con la tradizione - quella che ci siamo creati noi negli ultimi vent’anni.
Prenotazioni via The Fork.
Rua da Boavista 108, 1200-262 Lisboa